Le chiese di periodo paleo-cristiano furono impiantate su uno schema di basilichetta primitiva a portico, vale a dire senza interclusione fra le pareti perimetrali e le zone esterne (S. Focà e Palagonia: così doveva anche essere la scomparsa chiesa della Pinta a Palermo) e, più tardi, su schema diverso, la costruzione di basiliche come S. Pietro intra moenia e S. Pietro ad Bajas. Sempre su queste forme venne costruita, in periodo bizantino, la nuova cattedrale in Ortigia ricavata dalla trasformazione dell’Athenaion. Un’altra basilichetta ricavata nell’area di una precedente costruzione classica fu quella oggi chiamata piscina romana della quale più appresso parleremo e la chiesa ricavata entro il perimetro della cella del tempio di Apollo.
Lo spopolamento, al quale già Augusto tentava di porre rimedio in tutto il proprio impero varando una apposita politica demografica, fu dovuto anche, nei riguardi dell’esodo dalle zone urbanizzate verso la campagna, a situazioni di incertezza politica che ormai facevano della città un poco sicuro rifugio. E infatti proprio nel III secolo, a fronte della contrazione di Siracusa e dell’insediamento di zone cimiteri ali nel cuore dell’antica città, sta il sorgere della splendida villa del Casale di Piazza Armerina, sede di un’ultima romanità arroccata entro vaste tenute gravitanti intorno alla dimora signorile che insieme era munita contro i pericoli esterni.
Il primo insediamento cimiteriale, di età romana, fu realizzato nell’estremità orientale della Neapoli, in contrada Grotticelle. La maggior parte delle tombe di questa necropoli è di periodo romano e solo dopo il III secolo si ha, nella stessa zona, qualche tomba cristiana.
Era già quindi avvenuta la grande contrazione urbana e la presenza del cimitero romano nel cuore stesso di Siracusa, a un passo dalla zona del Teatro e dell’ara di lerone, lo dimostra a sufficienza. I progressivi insediamenti cimiteriali di periodo cristiano delimitano chiaramente lo spazio abitato di Siracusa in una zona che, oltre a comprendere Ortigia, investiva una piccola parte di Acradina, all’incirca corrispondente a quella del primo insediamento greco in terraferma e quindi alla prima cerchia muraria della quale qualcosa doveva pur avanzare e che è logico supporre venisse restaurata.
Insieme a questi cimiteri cristiani venne realizzata una nutrita serie di sepolcreti privati, alcuni dei quali molto ricchi (come quelli rinvenuti nell’area della villa Landolina). L’escavazione di queste vaste opere, prime fra tutte per monumentalità le catacombe di S. Giovanni, chiaramente dimostra che se Siracusa, nei confronti del periodo greco, era ridotta a un terzo della propria estensione, nei confronti delle altre città siciliane, e italiane, rimaneva pur sempre una grande città, e che le comunità cristiane ivi stanziate serbavano una notevole vitalità. Come infatti si è già osservato, l’insieme di queste catacombe è secondo soltanto a quello di Roma per importanza ed estensione.
Siamo propensi a ritenere che a Siracusa, dall’editto di Costantino in poi (ma il processo era già avviato fin dal II secolo dopo Cristo), la popolazione, pur gravitando principalmente sulla zona di Ortigia e della bassa Acradina, fosse presente in insediamenti sparsi per l’alta Acradina e che il processo di polverizzazione della città abbia portato alla formazione di borghi di una certa consistenza, ora raccolti intorno a un convento, ora ingrossando precedenti insediamenti suburbani.
La presenza di tutta una serie di chiese paleocristiane ce ne darebbe conferma, come a S. Focà presso Priolo, o come la realizzazione del primitivo impianto dell’importante convento di S. Pietro ad Bajas, presso Siracusa.
Al di fuori dei cimiteri cristiani la connotazione architettonica di queste chiese, data la loro successiva rielaborazione, cuce insieme il momento paleocristiano al momento bizantino non dando luogo, come a Roma, a una vera e propria corrente culturale ricca di spunti originali e di rielaborazione degli archetipi basilicali della tarda romanità.
La comunità cristiana risiedente nella zona di Priolo doveva essere di una certa consistenza, come ci attesta non solo la primitiva chiesa, realizzante l’inusitato schema della basilica a portico, ma anche la presenza delle catacombe di Manomozza e del Riuzzo.
Un’altra chiesa paleocristiana venne realizzata nella zona della Neapoli, dove pure doveva essere la presenza di una comunità, a sud-ovest della latomia del Paradiso. L’ingresso originario di questa latomia era volto verso sud e vi si accedeva attraverso una strada scolpita nella roccia. I romani, ai quali fu estraneo il concetto di urbanizzazione delle latomie, ne tagliarono un tratto e, con opportune opere, la resero un vasto serbatoio d’acqua utilizzato per i giochi del vicino anfiteatro. In periodo paleocristiano questo serbatoio, ancora oggi chiamato “piscina romana”, ormai ubicato al di sotto del piano stradale, fu trasformato in chiesa a struttura basilicale.
Nella zona, nonostante l’obliterazione procurata dalla lunga dominazione araba, dovevano essere ben radicate le memorie del culto se in periodo normanno, sopra la vecchia chiesa paleocristiana, venne realizzata la chiesetta di S. Nicolò dei Cordari. Ad ogni modo questa povera realizzazione non segnò, né lo poteva, la rivitalizzazione della zona che, al contrario, venne totalmente abbandonata. In periodo arabo la cavea del teatro greco era interrata e sulla sua area vennero impiantati dei mulini.
Elio Tocco