Dopo la definitiva eliminazione del pericolo di una riconquista bizantina, non seguì per i musulmani di Sicilia un marcia verso l’unità statale, ma, al contrario, la loro definitiva polverizzazione politica, verso una serie di potentati locali uno dei quali aveva sede in Siracusa e il cui signore, Ibn-at-Tumnah, chiamò in proprio aiuto i normanni.
Sbarcato in Sicilia il conte Ruggero con un manipolo di guerrieri ed iniziata ben presto la conquista dell’isola, una delle principali sacche di resistenza araba fu costituita proprio da Siracusa.
Della città si era insignorito Benavert che per molti anni poté validamente resistere ai normanni, quando già quasi tutta la Sicilia era loro preda.
La città fu espugnata nel 1086 dal lato del mare e fu dal conte Ruggero assegnata in feudo al figlio Giordano. Siracusa tornerà al demanio reale solo dopo Tancredi.
Gli influssi della generale espansione economica seguita alla dominazione normanna si fecero ben presto sentire nella città con tutta una serie di opere di restauro, di nuovi importanti lavori, e, soprattutto, con una ripresa di contatto con i due “borghi” attigui di S. Lucia extra moenia e di S. Giovanni alle catacombe (allora S. Marziano).
L’antica cattedrale di Siracusa venne ricostruita non sappiamo in quale forma, dato che il terremoto del 1693, distruggendo le fabbriche normanno-bizantine, non ci consente che una ricostruzione ideale, operata dall’architetto Di Grazia e pubblicata dal Di Stefano. Secondo il Pirro nel 1115 venne restaurata la chiesa di S. Lucia extra moenia (sicuramente di periodo normanno il portale). Il tempio di Apollo (la cella) viene ritrasformato in chiesa. Si :ostruirono ex novo le chiesette di S. Tommaso (ca. 1199) in Ortigia, nel primo tronco dell’attuale via Mirabella che allora doveva avere un diverso orientamento.
Al di sopra dell’antica “piscina romana”, già in età bizantina trasformata n chiesa, trasversalmente, si costruì la chiesetta di S. Nicolò dei Cordari. Questa chiesa, secondo la testimonianza del Fazello, sarebbe stata probabilmente la prima fra le chiese normanne costruite nei “dintorni” di Siracusa; secondo o storico saccense, infatti, nel 1093 vi si sarebbero svolti i funerali di Giordano, figlio di Ruggero: ed allora è logico pensare che o i funerali ivi si svolsero lì perché non v’erano ancora altre chiese, o che quella chiesa avesse già una cera tradizione e che quindi fosse stata preferita alle altre.
Ma l’impresa edilizia più notevole di periodo normanno fu senz’altro la costruzione della nuova facciata alla cattedrale, ricavata in periodo bizantino entro le strutture del tempio di Minerva.
Lo schema urbanistico d’Ortigia, nelle sue linee generali ed essenziali, era rimasto inalterato dal periodo greco – antico (e tale rimarrà fino ai due grandi avori di alterazione: l’apertura della piazza Archimede e del corso Matteotti). Tutto il reticolo viario conduceva nel luogo più eminente dell’isola, nel più antico luogo di culto, dove era allora la cattedrale. I nuovi dominatori, insieme alla sua restituzione al culto, non potevano non lasciare la loro orma sulla costruzione, ed urbanisticamente la facciata rimase il fatto più importante del secolo, in quanto accogliente intorno a sé tutta l’edilizia circostante, sovrastandola. Non sappiamo quali fossero i termini e il linguaggio di questa facciata, poiché il terremoto del 1693 la distrusse.
Sempre in Ortigia venne restaurata l’antica chiesa di S. Pietro, e probabilmente se ne ridecorò l’ambiente interno. Tutti questi lavori, quindi (S. Tommaso, restauro di S. Pietro, facciata della cattedrale, restauro della chiesa nel tempio di Apollo), si riferiscono ad Ortigia, cioè alla “città”. Ma la ripresa edilizia, come abbiamo visto, fu strutturata anche secondo un’altra direzione, e cioè verso S. Nicolò dei Cordari, S. Lucia e S. Marziano.
Queste ricostruzioni, o nuove fondazioni, in tre siti fra di loro distanti e non collegati urbanisticamente, provano che intorno alla città erano dei sobborghi, da leggersi come resti del naufragio urbanistico greco; altrimenti sarebbe stato un non senso la ricostruzione di chiese strutturalmente importanti in zone disabitate e non fruibili nella vita ordinaria della città.
Il nodo da sciogliere è sempre il solito: cioè questi insediamenti erano “considerati” come facenti parte della città, anche se distanti, anche se non collegati direttamente, ovvero erano delle comunità a parte? È chiaro che riferendoci qui al senso psicologico della città una risposta non si può fornire, anche se si potrebbe argomentare che l’importanza del luogo, S. Marziano, e l’imponenza della chiesa, S. Lucia, consiglierebbero l’ipotesi del legame psicologico.
In Ortigia era rimasta una fiorente comunità ebraica che ebbe, come altrove, un proprio quartiere che topograficamente coincide con l’odierna “giudecca”, che rimane ancora oggi uno dei quartieri più tipici dell’isola. Della sinagoga non è rimasta alcuna traccia (si dovrebbe dire allo stato attuale delle conoscenze, alle quali non ha dato lume nessuna serie di lavori di ricerca), mentre il tessuto viario è rimasto quasi immutato.
Nel dicembre del 1l68 un grave terremoto danneggiò l’abitato d’Ortigia, ed è questo il primo di una lunga serie di terremoti (documentati, ché quelli di epoca anteriore, sebbene è certo che vi siano stati, non lo sono) culminanti nel sisma del 1693 che avrà un ruolo di primo piano nel destino urbanistico della città.
Dopo l’eclisse della Sicilia normanna e i torbidi che ne seguirono, la Sicilia fu dominata da Federico II.
Nel quadro della generale opera di incastellamento della Sicilia, supporto indispensabile alla stabilizzazione politica di Federico, a Siracusa (1232-1239 ca.), venne realizzato lo splendido castello Maniace, costruito sulla zona di estrema propensione verso il mare dell’isola e concludendola da quel lato con la classica compostezza della sua mole squadrata.
Sempre in periodo federiciano venne costruito, sul lato di sinistra della cattedrale (nel sito dove verrà realizzato il palazzo arcivescovile che ne ingloba qualche struttura), un palazzo, di cui avanzano alcuni ambienti coperti dalle caratteristiche volte costolonate, ricorrenti in tutte le costruzioni del periodo.
Urbanisticamente il secolo XIII interessò Ortigia non solo per la splendida inserzione del castello Maniace che vi giocava un importante ruolo prima della sua obliterazione urbanistica (dovuta alla frapposizione di una ingombrante e orrida caserma nella spianata del castello che oggi conclude da quel lato Ortigia in sostituzione dell’architettura federiciana), ma anche per la costruzione, nel vivo della sua urbanistica, del palazzo Bellomo, a due passi dalla paleocristiana chiesa di S. Martino.
Di altri edifici non si ha notizia, ma è pur certo che il periodo federiciano avesse lasciato altre realizzazioni. Purtroppo l’assenza di ogni sistematico lavoro di restauro, sondaggio, disegno, rilievo del tessuto edilizio di Ortigia rende nulla ogni altra osservazione anche se siamo certi che, in ogni modo occultati, possano esistere altri brani di architettura duecentesca.
Elio Tocco