La gigantesca lotta ingaggiata lungo tutti i fronti del Mediterraneo dall’Islam e dalla cristianità greca non poteva non riverberarsi su quel nodo maestro delle rotte marittime che era la Sicilia. Preceduta da alcune incursioni, nell’anno 827 un’armata islamica – composta da arabi, berberi, spagnoli e forse libici – sbarcava a Mazzara al comando del giurista Ased ibn al – Forat.
Il primo vero obiettivo militare fu l’antica capitale: Siracusa. Lasciato presidio a Mazara sotto Abu-Keki … e occupate varie altre castella che assicurassero la linea di operazioni dell’esercito, Ased … percorse la strada romana della costiera meridionale, com’ei pare, fino alle foci del Salso … donde poi pigliò la via dei monti che mena a Siracusa. ( M. Amari).
La città, nella quale erano affluiti gli abitanti dei borghi e delle campagne, si apprestò a resistere. L’abbandono di tutti i quartieri esterni alla zona realmente presidiata si rivelò una misura indispensabile.
Ibn-el-Athir testimonia come le truppe di Ased occupassero, senza colpo ferire, certe enormi spelonche in giro alla città. In altri termini gli islamici posero il campo in tutta quella serie di latomie – Paradiso, Cappuccini, Novanteri – che circondavano la vecchia città, essendo già nel cuore dell’area greca, senza che alcuno avesse opposto resistenza.
L’Amari a proposito dei due quartieri di Acradina e Tyche (non menziona il quartiere della Neapoli) li descrive come “distrutti tanti secoli innanzi; l’espressione ci pare esagerata; si dovrebbe poter leggere disabitati e non completamente distrutti, ed evacuate le sacche ancora abitate all’arrivo degli arabi. Non si dimentichi che fino all’VIII secolo la chiesa- cattedrale era ancora quella di S. Marziano, in Acradina, e fu solo per il pericolo rappresentato dagli invasori che il vescovo Zosimo ne decise lo spostamento in Ortigia.
Più avanti del passo ricordato lo stesso Amari prosegue: Tra le latomie e l’istmo giace a nel IX secolo un quartiere, murato senza meno dalla parte di terra dall’uno all’altro porto, sì che dovea apparire ai musulmani una vasta linea di fortificazioni.
Questo quartiere, murato senza soluzione di continuità, era la primitiva Acradina, il primo insediamento urbano di periodo greco in terraferma. Le mura recingenti il quartiere dovevano essere ancora ben salde se gli arabi, nella fase del loro primo slancio e personalmente guidati da Ased, rinunciarono a provare l’assalto. È chiaro che non potevano essere ancora quelle le più antiche mura greche; i bizantini dovettero restaurarle, ma ci pare altrimenti chiaro che larghi brani della sua opera muraria e in ogni caso tutto il suo tracciato dovesse essere ancora quello greco – antico.
Il primo assedio dell’827 si chiuse con la ritirata degli arabi e la “non sconfitta” dei bizantini di Siracusa. Ma era chiaro che sarebbe stata soltanto una questione di tempo.
Nell’anno 869 vi fu un secondo tentativo capitanato da Khafàgia. La guarnigione siracusana, non sappiamo per quale motivo, decise di sortire dalle mura ed attaccare gli arabi in campo aperto; la vittoria arrise ai siracusani. Il grosso dell’esercito di Khafàgia assediò Siracusa dopo quella prima battaglia ma gli islamici, accorgendosi che gagliardamente la si difendesse, levato il campo, ripresero la via di Palermo. (M. Amari)
Da questi brevi fatti si può agevolmente dedurre:
- che Siracusa avesse una forte guarnigione bizantina, tale da permetterle di affrontare gli arabi in campo aperto, e di vincerli;
- che le sue mura erano così ben munite da non potere essere assolutamente prese senza grandi macchine d’assedio, delle quali in quel momento gli eserciti islamici non disponevano.
Nell’anno 875 una serie di gravi rovesci si abbatté sui musulmani e pareva che le conquiste siciliane fossero per esserne scosse. Ma, divenuto emiro Ibrahìm-ibn-Ahmed, questi, per cercare un compenso ai rovesci subiti altrove ad opera dei bizantini, e per fare sentire la propria potenza Basilio [il Macedone] che però non regnava in Africa … tentò una impresa fallita ai più illustri capitani della colonia: lanciò l’esercito sopra Siracusa.
La città rappresentava ancora l’antica capitale di una terra ormai soggetta ma che, resistendo ancora, coagulava intorno a sé e le speranze di rivincita dei bizantini e le velleità di riscossa dell’elemento cristiano dell’isola, che particolarmente in Val Demone era ancora forte.
Un passo dell’ Amari, descrivente questo ultimo assedio, è di qualche interesse per l’individuazione della topografia di Siracusa in quel periodo. I musulmani, capitanati da Giàfar-ibn-Mohammed, novello governatore dell’isola, dopo aver distrutto le messi di Rametta, Taormina, Catania ed altre città … davano il guasto a quel di Siracusa; occupati i sobborghi cominciarono l’assedio della città.
Non quindi “quartieri distrutti” come prima aveva detto, ma sobborghi, disabitati, se si vuole ormai fatiscenti ma non macerie. Tant’è che lo stesso capitano dell’esercito musulmano facea stanza nell’edificio della cattedrale vecchia fuor la città.
L’antica cattedrale di S. Marziano era quindi ancora intatta. Certo è che la cerchia degli accampamenti arabi fu molto più vicina alla città di quanto non lo fossero quelli di Ased, che si erano attendati nelle latomie.
La città al tempo dell’assedio – scrive Michele Amari – [era] limitata, com’oggi, alla penisola d’ Ortigia. Fuor da quella rimaneano sobborghi o, piuttosto,.l’antico quartiere principale, perché vi era stata la chiesa metropolitana, ed abbandonato da poco. Argomenta cioè che, dopo il primo assedio di Ased, quella parte di Acradina ancora abitata fosse stata sgomberata e che la popolazione si fosse rinserrata in Ortigia, la qual cosa non convince.
Intanto non era proprio il caso di abbandonare una linea difensiva avanzata che già aveva dato buona prova di sé; in secondo luogo dobbiamo riflettere sul fatto che Siracusa conteneva un forte presidio bizantino, come già abbiamo visto, e se a questo e agli abitanti ordinari dell’isola aggiungessimo i contadini, gli abitanti dei borghi che vi si rinserravano a ogni appressarsi degli islamici, e se ancora pensiamo che l’isola doveva contenere vasti depositi di derrate alimentari, ne risulta che lo spazio d’Ortigia (detratto anche lo spazio occupato dalle chiese e i palazzi governativi) non era assolutamente sufficiente.
In realtà le mura dovevano coincidere con quelle stesse che sostennero l’assedio ateniese, sia come sviluppo, sia come spazio intercluso, con la differenza che i bizantini, maestri di poliorcetica, dovettero in parte ricostruirle, in parte afforzarle.
Questo assedio vide però gli islamici ben decisi a spuntarla con la messa in opera di gigantesche macchine d’assedio che continuamente battevano le mura della città. Dopo dieci mesi d’assedio Siracusa finalmente cadde; il bottino fu fra i più ricchi che i musulmani avessero mai conquistato in Sicilia, e fu avviato a Palermo, la nuova capitale.
I tentativi, a più riprese esperiti dagli imperatori greci, di riprendersi l’antica capitale, abortiranno tutti. Nel 962 e nel 964 vi furono i primi tentativi e infine vi fu quello di Maniace nel 1038; ma la città tornerà sempre ai musulmani.
Non sappiamo di lavori interessanti l’urbanistica di Siracusa durante l’intero periodo arabo. I vecchi monasteri, sebbene non distrutti, furono abbandonati e molti andarono in rovina. Rovinò l’antica cattedrale di S. Marziano. La zona della cella del tempio di Apollo venne probabilmente trasformata in moschea. Il piano stradale circostante il tempio era, in quel tempo, molto al di sopra dell’originario livello greco, sicché la maggior parte del tempio di Apollo era interrata e ciò che ancora emergeva fuori terra (le colonne) fu eliminato.
La cattedrale, dopo il saccheggio, venne trasformata in moschea. Indirettamente possiamo dedurre, da un passo dell’ Amari, che gli arabi, dopo averla conquistata, avessero restaurato la cortina muraria della città, tant’è che il generale bizantino Maniace, dopo lo sbarco in Sicilia, ebbe dianzi la forte e munita Siracusa.
Altre opere di rafforzamento mise in cantiere lo stesso generale bizantino, dopo che ebbe, sia pur per breve tempo, riconquistata la città. Infatti, dice sempre l’Amari, egli si diede a ristorare le fortificazioni, il culto, le opere pubbliche. Quali siano state queste “opere pubbliche” ristorate dal Maniace non sappiamo, certo è che sia la brevità della riconquista, sia la precarietà stessa della situazione di fronte a una controffensiva araba dovettero sconsigliare l’intrapresa di opere di qualche consistenza; è invece da pensare che le antiche chiese venissero tutte restituite al culto cristiano.
Elio Tocco