I sistemi cimiteriali cristiani
Se si eccettua il periodo dei tiranni, che a Siracusa segna il massimo di espansione culturale e politica, non v’è altro paragone, in nessuna altra epoca, che possa tenere il confronto con tutto ciò che lasciò il periodo paleocristiano. Intanto tutto intorno all’area effettivamente abitata (Ortigia – Acradina) si realizzarono i vasti cimiteri sotterranei, ognuno dei quali legato a un particolare momento culturale e connotato da una particolare caratteristica: le catacombe di S. Giovanni, il sistema più monumentale e più meditato nell’impianto planimetrico, vicino al primo luogo chiesastico di periodo cristiano in Sicilia: la cripta di S. Marziano. Le arcaicissime catacombe di S. Lucia, dedaliche e ancora non completamente esplorate.
Le catacombe di Vigna Cassia realizzate su diversi piani di escavazione e infine le catacombe di S. Maria del Gesù. A questo sistema di cimiteri pubblici che per vastità e importanza non hanno riscontro che a Roma, si affiancano le tombe private, i ricchi ipogei ricavati nell’area dei vecchi e ormai disabitati quartieri greci, ornati da pitture parietali, come quelli ritrovati entro la villa Landolina.
Le chiese vedono la realizzazione di uno schema di basilichetta primitiva a portico, vale a dire senza interclusione fra le pareti perimetrali e le zone esterne (S. Focà e Palagonia: così doveva anche essere la scomparsa chiesa della Pinta a Palermo) e, più tardi, su schema diverso, la costruzione di basiliche come S. Pietro intra moenia e S. Pietro ad Bajas.
Sempre su queste forme venne costruita in periodo bizantino la nuova cattedrale in Ortigia ricavata dalla trasformazione dell’Athenaion. Un’altra basilichetta ricavata nell’area di una precedente costruzione classica fu quella oggi chiamata piscina romana della quale più appresso parleremo e la chiesa ricavata entro il perimetro della cella del tempio di Apollo.
È chiaro che dal punto di vista urbanistico nulla fu più, sia pure da lontano, paragonabile al periodo greco, alla metropoli dei Geloni e dei Dionigi, alla città che aveva battuto gli etruschi, i cartaginesi e tenuto testa a Roma.
Siracusa non raggiungerà più quella dimensione di metropoli fittamente popolata ed enormemente estesa in relazione alle coeve città del mondo mediterraneo. È chiaro che nei confronti della città greca ogni periodo, ad eccezione di quello romano che vide grandi lavori di sistemazione urbanistica, fu un momento di regresso.
La tendenza inarrestabile che già era ben manifesta verso lo spopolamento, dovuto sia alla contrazione demografica sia all’esodo verso le campagne (dove si organizzarono forme di vita sociale che prefiguravano chiaramente il feudalesimo), si fa progressivamente più evidente ed è manifestata dall’avanzamento delle necropoli entro il cuore dei vecchi e ormai disabitati quartieri greci di Tiche e della stessa Neapoli per poi investire, già dal Il secolo dopo Cristo, l’Acradina, che appunto fu sede dei grandi cimiteri pubblici cristiani: S. Giovanni, S. Lucia (il sistema cimiteriale più vasto e più antico), S. Maria del Gesù e Vigna Cassia.
Lo spopolamento, al quale già Augusto tentava di porre rimedio in tutto il proprio impero varando una apposita politica demografica, fu dovuto anche, nei riguardi dell’esodo dalle zone urbanizzate verso la campagna, a situazioni di incertezza politica che ormai facevano della città un poco sicuro rifugio. E infatti proprio nel III secolo, a fronte della contrazione di Siracusa e dell’insediamento di zone cimiteri ali nel cuore dell’antica città, sta il sorgere della splendida villa del Casale di Piazza Armerina, sede di un’ultima romanità arroccata entro vaste tenute gravitanti intorno alla dimora signorile che insieme era munita contro i pericoli esterni.
È vero che Siracusa era stata cinta dalla poderosa cinta dionigiana costruita a sua difesa ma è logico pensare che tale opera fosse ormai invecchiata e che mancassero le forze per il suo restauro. Durante i secoli romani, infatti, la consistenza politica dello stato romano e la conseguente sicurezza della vita cittadina avevano procurato l’abbandono del sistema della fortificazione urbana che venne invece ripreso già a partire dal II secolo, quando lo stato romano cominciò a fare naufragio. Ma a quel tempo, posto che si fosse restaurata l’opera greca, sarebbero mancati gli uomini per poterne presidiare l’enorme sviluppo lineare che presupponeva una città densamente popolata e urbanizzata in ogni parte.
Il primo insediamento cimiteriale, di età romana, fu realizzato nell’estremità orientale della Neapoli, in contrada Grotticelle. La maggior parte delle tombe di questa necropoli è di periodo romano e solo dopo il III secolo si ha, nella stessa zona, qualche tomba cristiana.
Era già quindi avvenuta la grande contrazione urbana e la presenza del cimitero romano nel cuore stesso di Siracusa, a un passo dalla zona del Teatro e dell’ara di lerone, lo dimostra a sufficienza. I progressivi insediamenti cimiteriali di periodo cristiano delimitano chiaramente lo spazio abitato di Siracusa in una zona che, oltre a comprendere Ortigia, investiva una piccola parte di Acradina, all’incirca corrispondente a quella del primo insediamento greco in terraferma e quindi alla prima cerchia muraria della quale qualcosa doveva pur avanzare e che è logico supporre venisse restaurata.
Insieme a questi cimiteri cristiani venne realizzata una nutrita serie di sepolcreti privati, alcuni dei quali molto ricchi (come quelli rinvenuti nell’area della villa Landolina). L’escavazione di queste vaste opere, prime fra tutte per monumentalità le catacombe di S. Giovanni, chiaramente dimostra che se Siracusa, nei confronti del periodo greco, era ridotta a un terzo della propria estensione, nei confronti delle altre città siciliane, e italiane, rimaneva pur sempre una grande città, e che le comunità cristiane ivi stanziate serbavano una notevole vitalità. Come infatti si è già osservato, l’insieme di queste catacombe è secondo soltanto a quello di Roma per importanza ed estensione.
Siamo propensi a ritenere che a Siracusa, dall’editto di Costantino in poi (ma il processo era già avviato fin dal II secolo dopo Cristo), la popolazione, pur gravitando principalmente sulla zona di Ortigia e della bassa Acradina, fosse presente in insediamenti sparsi per l’alta Acradina e che il processo di polverizzazione della città abbia portato alla formazione di borghi di una certa consistenza, ora raccolti intorno a un convento, ora ingrossando precedenti insediamenti suburbani.
La presenza di tutta una serie di chiese paleocristiane ce ne darebbe conferma, come a S. Focà presso Priolo, o come la realizzazione del primitivo impianto dell’importante convento di S. Pietro ad Bajas, presso Siracusa. Al di fuori dei cimiteri cristiani la connotazione architettonica di queste chiese, data la loro successiva rielaborazione, cuce insieme il momento paleocristiano al momento bizantino non dando luogo, come a Roma, a una vera e propria corrente culturale ricca di spunti originali e di rielaborazione degli archetipi basilicali della tarda romanità.
La comunità cristiana risiedente nella zona di Priolo doveva essere di una certa consistenza, come ci attesta non solo la primitiva chiesa, realizzante l’inusitato schema della basilica a portico, ma anche la presenza delle catacombe di Manomozza e del Riuzzo.
Un’altra chiesa paleocristiana venne realizzata nella zona della Neapoli, dove pure doveva essere la presenza di una comunità, a sud-ovest della latomia del Paradiso. L’ingresso originario di questa latomia era volto verso sud e vi si accedeva attraverso una strada scolpita nella roccia. I romani, ai quali fu estraneo il concetto di urbanizzazione delle latomie, ne tagliarono un tratto e, con opportune opere, la resero un vasto serbatoio d’acqua utilizzato per i giochi del vicino anfiteatro. In periodo paleocristiano questo serbatoio, ancora oggi chiamato “piscina romana”, ormai ubicato al di sotto del piano stradale, fu trasformato in chiesa a struttura basilicale.
Nella zona, nonostante l’obliterazione procurata dalla lunga dominazione araba, dovevano essere ben radicate le memorie del culto se in periodo normanno, sopra la vecchia chiesa paleocristiana, venne realizzata la chiesetta di S. Nicolò dei Cordari. Ad ogni modo questa povera realizzazione non segnò, né lo poteva, la rivitalizzazione della zona che, al contrario, venne totalmente abbandonata. In periodo arabo la cavea del teatro greco era interrata e sulla sua area vennero impiantati dei mulini.
Ma il complesso paleocristiano di gran lunga più importante, ubicato nel limite fra l’Acradina e la Neapoli, fu la primitiva cripta di S. Marziano, primo vescovo e protomartire siracusano, secondo l’agiografia cristiana, quivi mandato – come già accennato – dallo stesso S. Pietro.
Il luogo era particolarmente importante per il culto cristiano data la sepoltura del vescovo e la stessa presenza delle attigue catacombe di S. Giovanni. Questa cripta, le cui forme attuali sono il risultato della ristrutturazione d’età bizantina, fu probabilmente la prima “chiesa” di Sicilia e il primo luogo di culto.
Nonostante l’inadeguatezza del posto, sito al confine fra una zona scarsamente popolata e una del tutto disabitata, la santità del luogo e della memoria convinsero i bizantini a costruirvi una basilica, ubicata su di un piano più elevato che non quello della cripta e che, sempre secondo la tradizione, conservò il ruolo di chiesa cattedrale di Siracusa fino al VII secolo, quando il vescovo Zosimo, sotto la minaccia di incursioni arabe, trasferì la cattedrale nel tempio di athena (trasformato in chiesa), ubicato nella ancora difendibile Ortigia. Nel cuore di questo quartiere, ricadente sulla piazza che ancora oggi porta questo nome, venne anche realizzata la primitiva basilica di S. Pietro, la cui stessa denominazione intra moenia ci indica come la concezione della città si fosse ristretta alla cerchia di mura d’Ortigia e probabilmente a una minima parte di Acradina, intesa già come sobborgo
Elio Tocco