L’eredità di potenza e di ricchezze lasciate da Dionigi il Vecchio fu dispersa dalla lotta per la sua successione avvenuta fra il figlio, Dionigi il Giovane, e Dione (376-343 a.C.).
Furono queste lotte che precipitarono Siracusa nel vortice delle guerre civili e che ingoiarono gli eserciti e l’oro dello stato. Nel quadro di questo tormentato periodo si colloca il contatto di Platone con lo stato siracusano nel quale egli voleva concretizzare il proprio pensiero politico sulla repubblica ideale.
Ad ogni modo sia l’importante viaggio di Platone in Siracusa sia la descrizione analitica della guerra civile fra la fazione di Dione e quella di Dionigi II appartengono più alla storia civile che a un profilo storico dell’urbanistica di Siracusa.
Certo è che in tutto questo periodo nulla di nuovo venne realizzato, e per le condizioni della città che andarono deteriorandosi sotto l’incalzare della guerra civile, e perché le uniche costruzioni allora veramente utili al potere, le fortezze, erano già state realizzate da Dionigi il Vecchio con grande perizia e notevole visione politica.
Quell’afforzamento di Ortigia, in particolare, fu indispensabile per mantenere in piedi il traballante potere centrale di Dionigi il Giovane che altrimenti sarebbe stato travolto dalla reazione armata di Dione. Lo stesso Dione, conseguito il comando nella città, si guardò bene dallo smantellare le fortificazioni di Ortigia, come il popolo chiedeva, ben sapendo quale potente aiuto esse fossero nel mantenimento del potere. Assassinato Dione nel 354 tornò al potere Dionigi il Giovane, che subito si dovette rinchiudere nella fortezza di Ortigia a causa di una nuova sommossa guidata da Iceta.
Appare chiara, da tutta questa serie di interminabili lotte, quanto precario fosse ormai il potere dello Stato nel momento in cui al governo non vi fosse un tiranno di grande prestigio e di polso fermo.
Dietro invito di Iceta, Corinto, la madrepatria, inviò infine una piccola spedizione militare guidata dal futuro padrone di Siracusa, Timoleonte.
Ancora una volta ci rimangono oscuri i motivi per i quali una città in completo decadimento come Corinto (che del resto viveva la crisi generale del mondo greco) avesse affrontato le considerevoli spese necessarie per preparare una spedizione militare nella lontana Sicilia.
Più comprensibile risulta invece pensare che alla spedizione abbiano partecipato, per proprio conto, uomini della città che, appunto perché in decadimento, non offriva più né ricchezze né adeguate possibilità di lavoro. Cominciò allora una vera e propria “seconda migrazione” che dalla Grecia portò in Sicilia, secondo Diodoro, circa sessantamila uomini, a ripopolare le vecchie città greche rese esauste da un periodo di continue e incessanti lotte.
Timoleonte si diede a ricucire insieme i brani di quello Stato unitario esploso subito dopo la morte di Dionigi il Vecchio in una miriade di piccoli potentati locali, ognuno asservito ad un tirannello.
Fu questo, lo sterminio sistematico dei tiranni locali, il primo obiettivo della sua politica siciliana.
Il secondo obiettivo di Timoleonte fu l’eterna lotta contro Cartagine che il corinzio vinse presso il fiume Krimisos nel 340 a.C.
Nel frattempo, nel mondo greco, il panorama politico era cambiato radicalmente e quella stessa crisi che aveva spinto gli avventurieri di Timoleonte in Sicilia si concludeva con il tramonto definitivo della città-stato e della libertà greca.
Si concludeva, già nel 359, quel dramma greco che era iniziato con la guerra del Peloponneso, con la dilaniazione delle forze greche nella lotta mortale fra Atene, Sparta, Tebe. Già nel 336 (quattro anni dopo la vittoria di Timoleonte sul Krimisos) prendeva il via l’avventura di Alessandro Magno in Oriente, e dall’incontro fra la cultura greca e quella siriaco-persiana nascerà l’ ellenismo.
È probabile che anche Timoleonte in Sicilia vagheggiasse un programma politico prevedente la creazione di uno stato unitario, o di una federazione fra città come suggerisce il Finley; di certo è improbabile che in Sicilia egli tentasse di resuscitare un organismo storico (la città-stato) che in patria sapeva ormai morto e sepolto.
Per questa via i viaggi di Platone in Sicilia, vagheggianti improbabili costituzioni e reggimenti politici sempre all’interno di una sola città, diventano la rincorsa all’utopia del passato; di un passato nemmeno criticamente rivissuto nella memoria, ché sarebbe stato chiaro quanto il disastro della Grecia fosse cominciato nella stessa concezione della città-stato, crollata di fronte all’impatto di organismi statali più coerenti anche se più rozzi.
Dal punto di vista urbanistico l’epoca di Timoleonte fu rilevante. L’avventuriero corinzio per prima cosa volle abbattere la fortezza dei tiranni in Ortigia; secondo Plutarco egli fece dar voce da un banditore pubblico che tutti i siracusani desiderosi di dare una mano all’opera, dovessero recare piccozze, picconi e altri strumenti per aiutarlo a demolire le fortificazioni dei tiranni. .. ed essi non soltanto abbatterono il castello, ma rovesciarono i palazzi e i monumenti adiacenti e qualsiasi altra cosa potesse serbare memoria dei precedenti tiranni. Nell’area ricavata dalla distruzione della fortezza di Dionigi, il corinzio fece costruire delle corti di giustizia.
Per finanziare le proprie campagne contro i cartaginesi, Timoleonte fece ricorso all’espediente di vendere tutte le statue dei precedenti tiranni di Siracusa, ad eccezione di quella di Gelone che venne rispettata.
Di altri lavori non sappiamo, ma possiamo arguire, dalla testimonianza di Diodoro, che vennero restaurati i vecchi monumenti ed abbellita la città.
Afferma lo storico siciliano che in tutta la Sicilia l’attività monumentale ebbe finalmente un risveglio, dopo decenni di torpore; e in realtà il riordinamento dello stato, lo stabilimento di uno statu quo con i punici, la riattivazione dell’agricoltura, il nuova arrivo di coloni e la messa in cultura di territori incolti, devono necessariamente avere procurato nuove fonti finanziarie allo Stato e quindi la possibilità di eseguire vasti lavori di pubblica utilità. Molte città siciliane riebbero, allora, vitalità, primieramente Gela ed Akragas.
Nel 337 Timoleonte, ormai ritiratosi dalla vita pubblica, venne a morte ed i siracusani gli tributarono grandi onori. Quando la salma fu depositata sulla pira il banditore lesse questo decreto: Il popolo siracusano seppellisce con la spesa di duecento mine Timoleonte … vuole inoltre che in perpetuo sia un tant’uomo onorato con gare musicali, equestri e ginniche per avere egli abbattuti i tiranni, debellati i barbari, ripopolate le città più grandi già per servitù deserte, stabilite altresì leggi, sostenuta e rivendicata la libertà dei siculi.( Diodoro).
Il monumento funebre al condottiero di Corinto, chiamato Timoleonteo, venne recintato, per tutto il suo perimetro, da ginnasi adatti all’educazione dei giovani. La zona dove sorgeva non si conosce con sicurezza data l’assenza di scavi sistematici; è tuttavia probabile che sorgesse vicino al posteriore “ginnasio” romano (lungo la via Elorina), del quale rimane qualche frammento.
Elio Tocco