03 – Il Tempio di Apollo

Uno fra i templi più antichi del mondo greco, e senz’altro il più arcaico fra quelli siciliani, è il Tempio di Apollo in Ortigia, una volta dominante dalla possanza delle sue tozze colonne le acque del porto piccolo nel quale allora si specchiava.

Mutata interamente la morfologia della parte più bassa di Ortigia, con l’innalzamento del piano stradale e l’interramento di parte dello specchio d’acqua, il Tempio di Apollo mostra i suoi notevoli resti in uno slargo, sprofondato nella attuale piazza Pancali, ad una quarantina di metri dal mare.

La datazione del tempio e i suoi rapporti con lo stile dorico

Sarà utile, ai fini di un corretto inquadramento del Tempio di Apollo nei limiti stilistici e cronologici dell’arte dorica, prospettare un quadro sinottico delle principali architetture caratterizzanti questo primo periodo dell’architettura greca.

FASE PROTO-ARCAICA

  • Ultimi anni del sec. VII – Tempio di Hera (Olimpia)
  • primi anni del sec. VI Sec. VII – Tempio di Apollo (SR) Basilica di Pesto
  • prima metà del VI secolo – Tempio di Apollo (Corinto) Tempio C. di Selinunte

FASE ARCAICA

  • Dal 550 al 480 – Tempio di Afaia(Egina) Tempio di Asso (Asia Minore)Tempio di Cerere (Pesto)

STILE SEVERO

  • Dal 480 al 450 – Tempio di Zeus (Olimpia) Tempio di Nettuno (Pesto) Tempio di Poseidon (Pesto)
    Heraion di Selinunte Tempio di Zeus (Agrigento)

Il Tempio di Apollo, quindi, appartiene a quella prima aurorale età dell’architettura dorica che manualisticamente si può definire proto-arcaica.

Era un tempio periptero esastilo con diciassette colonne nei due lati (m 58, 10 x 24,50). La cella era scandita da due filari di sette colonne in due ordini sovrapposti.

Il tempio siracusano riflette una concezione spaziale greve e incerta; in più il Tempio di Apollo, pur nella attuale povertà dei suoi resti, mostra alcune particolarità di struttura che ben a ragione lo collocano nel quadro di riferimento del più arcaico fra i periodi dell’architettura greca.

Le irregolarità, rispetto ai «canoni» dell’architettura dorica, sono già rilevabili nella pianta e, principalmente, nella finitezza e nella stessa disposizione delle colonne, estremamente vicine le une alle altre nelle parti laterali, quasi che l’architetto non fosse ancora certo della capacità di carico degli elementi architettonici messi in opera e avesse voluto esserne più certo avvicinando fino al possibile i tozzi monoliti, appena scanalati, fungenti da colonne.

I capitelli sostengono grandissimi echini, enormemente dilatati, si direbbe, dal peso dell’architrave.

Per quello che riguarda le influenze stilisti che rispetto al tempio siracusano, il Dismoor ipotizza un influsso ionico, mediato attraverso le colonie dell’Asia Minore, avanzando anche un parallelo stilistico fra questo tempio e quello di Zeus ad Olimpia che pure gli è posteriore di molto (ma è da dire che il Dismoor pone la datazione del tempio siracusano intorno al 565, data questa che, se confermata, ribalterebbe l’interpretazione fino ad ora accettata, ponendo il Tempio di Apollo nell’ultima fase dell’architettura dorica, vale a dire nell’epoca in cui, ripreso il discorso del periodo arcaico, se ne meditavano gli esiti e gli aspetti, preparando il terreno ad un altro corso architettonico, meno grandioso ma più meditato. Il Tempio di Apollo sarebbe stato, per questa via, l’opera di incolte maestranze alle quali sarebbero stati del tutto estranei i coevi raggiungimenti dell’architettura greca).

Sul frontone del tempio era un ornamento fittile policromo attualmente conservato al museo archeologico Paolo Orsi di Siracusa.

Il problema filologico e l’ubicazione topografica

La prima indicazione circa l’esistenza in Ortigia di un secondo grande tempio (il primo era quello dedicato a Minerva, oggi cattedrale) si trova in un celebre passo della quarta Verrina di Cicerone; per quello che riguarda la dedicazione del tempio il nome che però se ne ricava è quello di Diana e non di Apollo, come è sempre stato chiamato il tempio dal periodo della sua riscoperta, giusta l’iscrizione che ancora si può leggere incisa nel gradino superiore del suo fronte orientale.

Paolo Orsi ha così riassunto la questione: … in questo passo delle V erri ne venne fin dal Cinquecento impostata la disputa dei nomi dei templi di Ortigia, e siccome due ne segna Cicerone, e due ne sono pervenuti, era naturale che uno venisse assegnato ad Athena, l’altro ad Artemide. E poiché si sa che quello di Athena era decorato nel suo fastigio da uno scudo dorato, che segnava da lungi ai naviganti la patria, non si esitò a collocarlo nella cattedrale attuale, siccome nel punto più elevato dell’isola; e l’altro… rimase assegnato ad Artemide [ma il fatto che Cicerone abbia nominato solo due templi non significa che in Ortigia non ne esistessero altri, infatti certamente vi sorgevano] quello di Olimpia… e quello di Aretusa [e dato che il culto di Artemide era strettamente collegato con quello di Aretusa, pare logico pensare che] il tempio di Artemide non va collocato nella lontana via S. Paolo, ma nelle immediate vicinanze della fonte sacra. Il tempio di via S. Paolo, per le sue forme rozze, per la sagoma dei capitelli ed il modulo delle colonne è certamente il più antico di Siracusa, non solo, ma della Sicilia e della Magna Grecia».

Quindi, secondo il grande archeologo, il tempio ricordato da Cicerone non sarebbe quello attuale, ma un altro oggi scomparso e la cui ubicazione doveva essere presso la fonte Aretusa. La dedica ad Apollo, ritrovata incisa nel gradino del fronte orientale ed indicante il tempio come consacrato ad Apollo da Cleomenes, deve quindi ritenersi risolutiva della questione filologica.

La morfologia della parte bassa di Ortigia, una volta dominata dalle possenti e rozze strutture del tempio di Apollo, è molto cambiata nel corso dei secoli, ed è stata questa una delle cause della rovina della costruzione.

Il piano stradale è stato rialzato (in periodo arabo al livello delle colonne del frontone tutte mozze alla stessa altezza) inglobando prima lo stilobate, poi il crepidoma, poi parte delle stesse colonne.

La stessa posizione di vicinanza con il mare del tempio è mutata.

Durante i lavori relativi all’apertura della via Matteotti, ricorda l’Agnello, furono infatti ritrovati brani dell’originaria cinta greca, a non più di dieci metri dal tempio; significando questo che fra il tempio e il mare, lambente le sue mura, la distanza era minima.

Nel secolo XVI, gli spagnoli, per creare una vasta spianata che potesse accogliere una fortezza guardante l’ingresso ad Ortigia, colmarono con terra di riporto una vasta area, prima occupata dallo specchio portuale, allontanando il mare di circa quaranta metri. Ed è questa, suppergiù, l’attuale situazione topografica del Tempio di Apollo.

Le successive trasformazioni, dal periodo bizantino al periodo spagnolo

Nessuno studio avremmo circa le tante trasformazioni che ebbe a subire il Tempio di Apollo, e quindi ci rimarrebbero ignoti certi suoi particolari, alcuni dei quali ancora oggi poco chiari, se Giuseppe Agnello non vi avesse dedicato un saggio contenuto nel suo volume L’architettura bizantina in Sicilia.

Secondo l’Agnello è fuori da ogni dubbio il fatto che, così come era avvenuto per il Tempio di Minerva, anche il Tempio di Apollo fosse stato trasformato in chiesa.

Ma a differenza della cattedrale, la cui ossatura classica al tempo della trasformazione bizantina era perfettamente conservata anche se privata degli apparati originali, il Tempio di Apollo non doveva essere in perfette condizioni se è vero che la trasformazione non investì l’intero tempio, ma ne utilizzò il solo naos che, di per sé, con la sua partizione in tre navi, era del tutto idoneo a essere trasformato in chiesa cristiana.

Allo stato attuale si osservano ancora, fra le colonne dell’antico pronaos, due monconi di stipiti che facevano parte dell’ingresso del tempio cristiano. II riadattamento era stato ottenuto con la parziale occlusione dell’intercolumnio, utilizzando il materiale apprestato dalla rovina stessa del tempio… il coronamento era dato da un semplice architrave monolitico… il breve spazio fra gli stipiti e le colonne era ricolmato con muratura a pezzate ( L. Bernabò Brea).

Già in periodo bizantino la tendenza del piano stradale a rialzarsi non fece più corrispondere il piano della chiesa cristiana con quello del tempio pagano, e si dovette procedere a una rozza sopraelevazione, utilizzando materiale proveniente dallo stesso tempio.

Si provvide, in quella occasione, a munire di un altro gradino il crepidoma, rimasto troppo in basso. Altri lavori riguardarono una sorta di vasca battesimale ricavata dai tre gradini inferiori dello stilobate [che]… rotti con un profondo taglio rettangolare… [vennero rivestiti all’interno] da un grande lastrone calcare monolitico, con il lembo superiore riccamente sagomato. (P. Orsi).

Sul fronte occidentale, al di fuori della riadattata parte del tempio, è, ancora leggibile, un fortissimo basamento (m 9,10 x 8) che, da alcuni attribuito a base della torre campanaria, ci pare, con l’Agnello, essere stato più probabilmente un torrione della vicinissima cortina muraria, il cui materiale fu in parte ricavato dalle pietre squadrate tolte al tempio classico in quelle parti rimaste non utilizzate dalla chiesa bizantina.

Gli arabi trovarono la chiesa, già tempio di Apollo, ancora più seppellita dall’innalzamento del piano stradale circostante, che deve avere raggiunto i livelli attuali. Emergevano le colonne del peristilio e del pronaos, rimaste al di fuori dalla chiesa. Gli islamici le dimezzarono, livellandole al piano stradale.

La cella, emergente pur’essa, solida e quindi ancora capace di ricevere una sua destinazione, venne riadattata secondo molti studiosi a moschea, anche se l’Agnello più consapevolmente, pur approvando la tesi della riutilizzazione, si guarda bene dall’ipotizzare l’uso che di essa poterono fare i musulmani.

Con l’avvento dei normanni, al tempio venne ridata una destinazione, anche se non è certo che venne riutilizzato come chiesa. Ma se dobbiamo accettare quest’ultima ipotesi, verrebbe anche convalidata quella della trasformazione del tempio in moschea; sarebbe infatti stata del tutto improbabile una riconsacrazione dopo duecento anni di obliterazione, con l’aggiunta della profonda trasformazione topografica dei luoghi che, certamente, avrebbe ancora di più contribuito alla totale dimenticanza del tempio come luogo sacro.

Sappiamo bene da molti altri esempi che le vecchie chiese vennero quasi sempre trasformate in moschee e poi ancora in chiese. La permanenza sul luogo della memoria di luogo sacro ne avrebbe senz’altro favorito la ripresa suggerendo la nuova destinazione; altrimenti si dovrebbe ipotizzare la persistenza di un culto clandestino per duecentocinquanta anni in un luogo che anche morfologicamente aveva ormai poco dell’antica chiesa.

Ciò che rimane delle opere normanne sono sia un arco, dalla caratteristica struttura ogiva1e, aperto nel settore più orientale del superstite muro della cella, sia una leggera sopraelevazione, posta direttamente sopra le opere murarie greche ed ottenuta con l’apposizione di vari filari di piccoli conci calcarei.

La chiesa ottenuta (se di chiesa si può parlare), orientata diversamente dalla greca verso sud-nord, era di proporzioni assai più ridotte che non l’originale.

Il Trecento ha lasciato ugualmente sulle poche strutture superstiti alcune tracce, consistenti in tre crocierine gotiche, di perfetta fattura che investono e soverchiano, con arditissimo slancio, il portale normanno. Sono manifestamente gli avanzi delle crociere di un edificio probabilmente religioso orientato nello stesso senso del tempio normanno (Agnello).

L’ultimo atto della storia del tempio, prima della sua riscoperta, avvenne nel 1562, quando il viceré spagnolo decise la realizzazione, nell’area già occupata dal Tempio di Apollo e resa più vasta dal grande interramento del porto, di una grande fortezza, simile a quelle in quel tempo costruite in ogni parte della Sicilia.

Lo stato attuale

Scrive Patrick Brydone: Ortigia era già da molti secoli una penisola quando il re di Spagna affrontò l’enorme spesa di tagliare la lingua di terra che la univa alla Sicilia, riportandola al suo pristino stato. Sull’isola egli ha fatto erigere un forte imponente, quasi inespugnabile. Vi sono quattro solide porte, una dietro l’altra, ciascuna fornita di spalti, passaggio coperto, scarpa e controscarpa, e un largo e profondo fossato pieno d’acqua di mare e difeso da un immenso numero di cannoniere.

Fu proprio la costruzione di questo grande forte (che non fu mai utilizzato militarmente) avvenuta nel 1562 a determinare la rovina completa di ciò che restava nel Tempio di Apollo. La costruzione della fortezza, investendo il lato occidentale e quasi tutto quello settentrionale del tempio, spianò, da quel lato, ogni antica fabbrica, arrestandosi solo al muro della cella, che non era compresa nel piano della costruzione.

I resti del tempio potevano allora essere visti in casa del sig. Santoro, in contrada Resalibera… [ivi] additansi come resti di questo edificio due colonne di ordine dorico scanalato (M. Finley).

Nel 1862, durante i lavori di demolizione del forte spagnolo, furono rinvenuti i resti delle antiche fabbriche e si individuò l’ubicazione esatta del vecchio tempio; durante gli scavi del 1938-43, infine, venne rimesso in luce l’antico piano del tempio e con esso tutti i suoi resti che, per essere stati sepolti dall’innalzamento del piano stradale già iniziatosi in periodo arabo, erano ancora discretamente conservati.

La topografia del luogo era profondamente mutata. Le opere spagnole avevano creato un vasto interramento dello specchio portuale che ne era rimasto discosto, e nell’area risultata libera dalla demolizione della grande fortezza venne ricavato il largo XXV Luglio.

Gli scavi furono allora ben condotti e si cercò di rimettere in luce tutte le antiche fabbriche, procedendo anche alla demolizione di vecchi caseggiati ricadenti nella zona interessata ai lavori.

Non possiamo invece dire che i resti, una volta rimessi in luce, siano stati ben tenuti, causa principale di questo fenomeno la maleducazione e l’ignoranza dei cittadini che della vasta «fossa» comprendente i resti del tempio, spesso fanno una capiente pattumiera.

La prima parte delle antiche strutture a essere danneggiata fu il grande lastrone calcareo monolitico, con lembo superiore riccamente sagomato [che insieme alla “vasca” che serviva a recingere, probabilmente fungeva da] battistero della chiesa che, com’è noto, nelle migliori costruzioni bizantine restava sempre fuori dal recinto del tempio.(G: Agnello).

Alcuni teppisti, introdottisi nel recinto del tempio, danneggiarono gravemente  questo lastrone, relativo al riadattamento bizantino, rendendone indispensabile la rimozione.

Registriamo come tardivo fatto positivo che da dieci anni circa l’area del tempio sia stata risistemata degnamente

Elio Tocco

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